La Comm. Trib. Reg. per la Liguria Sezione 3 afferma nella sentenza in esame che: “In relazione alla notifica dell’atto di intimazione tramite PEC, non si può presumerne la nullità in quanto l’atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato. Per ormai consolidata giurisprudenza anche di Cassazione, non si può dedurre una nullità tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità detta notifica, sia venuto a conoscenza del contribuente.
Nel caso in esame il contribuente è stato posto in condizione di sapere dell’esistenza dell’atto di intimazione e avrebbe potuto controllare, come fatto, anche la notifica delle cartelle esattoriali sottese, giungendo a comprendere il motivo della richiesta e a difendersi.
Ma se non si può presumere la nullità dell’atto, occorre invece esaminarne la giuridica esistenza.
L’invio di un qualunque atto tramite PEC non è idoneo a garantirne, con l’assoluta certezza richiesta dalla legge, né l’autore né la sua integrità.
L’atto deve essere attestato conforme all’originale e l’Agente per la Riscossione non ha tale potere.
Non si tratta, quindi, di un atto originale ma di una copia informatica dell’originale o, al limite, della copia informatica di un documento analogico privo della necessaria attestazione richiesta.
La ricezione del documento nella cassetta di posta elettronica certificata non garantisce l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario; viene garantita solo la disponibilità del documento nella cassetta elettronica, prescindendo anche da ogni possibile lettura del messaggio.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale stabilisce che le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico hanno l’efficacia probatoria dell’originale solo se la loro difformità non sia espressamente disconosciuta. Devono essere prodotte giudizio sia la ricevuta di accettazione sia di avvenuta consegna, idonea a certificare ora e data di avvenuto recapito, il tutto con valore legale garantito dalla firma digitale ex art. 24 D. Lgs. 82/2005.
Pertanto le stampe cartacee delle ricevute, qualora prive dell’attestazione di conformità apposta, da pubblico ufficiale, a ciò autorizzato , sono prive di valenza probatoria.
In ultimo, ma altrettanto importante, viene richiesta estensione del file non in “PDF” ma “P7M”, che sola garantisce l’integrità e la non modificabilità del documento e ne identifica l’autore.
La stessa Cassazione, sentenza n. 20672/2017, ha stabilito che le formalità previste dalle norme tecniche potrebbero porsi come indispensabili presupposti o elementi stessi dì esistenza di un atto riferibile a colui che figura esserne il suo autore.
In pratica l’assenza del requisito prescritto produce un “quid” completamente differente dal complesso atto processuale, nativo digitale e disciplinato dall’art.12 delle specifiche tecniche previste dall’art. 34 comma 1 del decreto Ministero della Giustizia n. 44/2011.
L’esistenza dell’atto in forma di documento informatico dipende dalla contemporanea presenza di tutti gli elementi che il testo di riferimento ritenga necessari.
Solo l’estensione “P7M” permette l’apposizione della firma digitale e la difformità dell’estensione non permette una sottoscrizione riconosciuta ex lege , non permette, cioè, che venga ad esistenza l’atto voluto e prescritto dal Legislatore.
Valutando, pertanto, quanto apportato si rileva non la nullità della notifica ma l’inesistenza giuridica, sin dalla sua nascita, dell’atto notificato dall’Agente della Riscossione”.
TESTO DEL PROVVEDIMENTO
Comm. Trib. Reg. per la Liguria Sezione 3, Sentenza del 07/12/2017 n. 1745
La soc. x srl ricorre avverso intimazione di pagamento di Equitalia Servizi chiedendo l’annullamento di alcune cartelle asserito non notificate e l’annullamento dell’intimazione inviata via PEC, carenti del valore di certezza e mancanti della firma digitale.
La C.T.P. accoglieva ‘appello parzialmente, annullando l’intimazione per nullità della notificazione via PEC, ma confermando la corretta notifica delle cartelle avvenuta per via postale o per PEC.
Ricorre il contribuente chiedendo la conferma dell’annullamento dell’intimazione inviata via PEC con conseguente giuridica inesistenza, sostenendo inoltre la mancanza di prova di avvenuta notificazione per quanto relativo alle cartelle esattoriali.
Chiede l’annullamento del ricorso di Equitalia in quanto avvenuto tramite avvocato non facente parte di Equitalia, ma esterno alla stessa in violazione art. 11 D.Lgs. 546/92 in vigore dallo 01/01/2016.
Contesta il fatto che alcune cartelle erano state notificate a persone diverse, estranee, senza invio di raccomandata informativa , altre invece notificate via PEC e quindi, ipso facto, nulle, prive di firma digitale e di attestazione di conformità, quindi mai ritualmente notificate e giuridicamente inesistenti.
Contesta anche la mancata sottoscrizione del ruolo con relativa inesistenza giuridica, l’insufficiente motivazione della sentenza e la mancata produzione degli originali richiesti.
Si oppone Equitalia, chiedendo l’instaurazione del litisconsorzio dovendo essere presente anche l’Agenzia delle Entrate e contestando te argomentazioni di parte.
Considera valida la notifica via PEC ai sensi art. 26 D.P.R. 602 con rinvio, per le modalità, alle disposizioni decreto 68/2005.
Ritiene non necessaria la firma digitale ex art. 149 bis .
Ritiene che, in ogni caso, la costituzione del ricorrente abbia sanato qualunque vizio di notifica.
La Commissione, valutato quanto apportato, ritiene che la sentenza impugnata debba essere riformata.
Preliminarmente la Commissione, preso atto della nuova formulazione dell’art.11 D. Lgs. 546/92, ritiene che Equitalia non si sia validamente costituita e che tutto quanto prodotto non possa essere oggetto di valutazione.
Il D. Lgs. 156/2015 ha stabilito che dal giorno 01/01/2016 l’Agente per la Riscossione,ora Agenzia Entrate Riscossione, e l’Agenzia delle Entrate possano costituirsi in contenzioso solo tramite personale interno o facente parte della sovrastruttura. Non è , pertanto, più accettabile la delega di rappresentanza concessa a legali esterni , come nel caso in questione.
Indirettamente lo stesso art. 12 D. Lgs. 546/92 conferma tale assunto riportando al comma 1 letteralmente che ” le parti diverse dagli Enti impositori, dagli Agenti della Riscossione ecc devono essere assistite in giudizio da difensore abilitato” .
Se l’errore poteva essere scusato in primo grado nell’immediatezza della norma, altrettanto non si può dire in questa sede.
Non appare, nel caso, neppure vincolante l’assenza di una norma cogente: la stessa non osservanza del dettato legislativo nella sua lettura letterale, non può non comportare conseguenze fondamentali per l’iter processuale dell’Amministrazione, tali da rendere superflua ogni altra norma costrittiva.
Dal momento che l’errata costituzione, nel caso in esame l’impossibilità di concedere delega, può essere rilevata in qualunque grado del giudizio, si determina l’estromissione dal giudizio di Equitalia, con conseguente impossibilità di valutazione di quanto prodotto.
Per quanto concerne il litisconsorzio sul quale questa Commissione ha fermato la sua attenzione, lo stesso, ad una attenta valutazione, si rileva non necessario.
L’Agenzia delle Entrate sì era già costituita volontariamente ex art. 14 D. Lgs. 546/92 in primo grado ed altrettanto avrebbe potuto fare in appello. D’altra parte la posizione dell’Agenzia appare veramente marginale e labile avendo il contribuente contestato quasi solamente le notifiche delle cartelle e le causali delle stesse che non gli permettevano di comprendere quanto richiesto, senza entrare in palese contestazione di avvisi di accertamento o altro di competenza dell’Agenzia.
Pertanto la Commissione ritiene di poter procedere nel giudizio.
Proseguendo nell’esame delle eccezioni, per quanto attiene la regolarità del ruolo relativo alle cartelle emesse, rileva che la Corte di Cessazione con ordinanza 19761 del 3/10/2016 ha stabilito che il difetto di sottoscrizione non possa assolutamente invalidare l’iscrizione a ruolo, risultando irrilevante eventuale assenza dì firma del responsabile, in virtù della presunzione di legittimità riconducibile alla regola generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’Ente da cui proviene.
La sottoscrizione del ruolo, in pratica, è solo un atto interno e la sua assenza non determina automaticamente l’invalidità dell’iscrizione a ruolo.
Non è stata prevista espressamente alcuna sanzione di nullità: è un atto che non ha alcun autonomo rilievo esterno, trasfuso alle cartelle notificate al contribuente ( v. Cassazione a. 26053/2015; 6199/2015 ecc..)
L’art. 12 D.P.R. 602/73, che disciplina la formazione dei ruoli e il contenuto, non prevede alcuna sanzione di nullità in caso di mancata sottoscrizione e, in mancanza di una nullità espressa come ormai consolidato orientamento di legittimità, opera la presunzione che l’atto amministrativo sia riferito all’Organo da cui è stato emesso.
Spetta al contribuente dare prova contraria.
Pertanto su tali punti si respingono le eccezioni del contribuente.
In relazione alla notifica dell’atto di intimazione tramite PEC, non si può presumerne la nullità in quanto l’atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato. Per ormai consolidata giurisprudenza anche di Cassazione, non si può dedurre una nullità tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità detta notifica, sia venuto a conoscenza del contribuente.
Nel caso in esame il contribuente è stato posto in condizione di sapere dell’esistenza dell’atto di intimazione e avrebbe potuto controllare, come fatto, anche la notifica delle cartelle esattoriali sottese, giungendo a comprendere il motivo della richiesta e a difendersi.
Ma se non si può presumere la nullità dell’atto, occorre invece esaminarne la giuridica esistenza.
L’invio di un qualunque atto tramite PEC non è idoneo a garantirne, con l’assoluta certezza richiesta dalla legge , né l’autore né la sua integrità.
L’atto deve essere attestato conforme all’originale e l’Agente per la Riscossione non ha tale potere.
Non si tratta, quindi, di un atto originale ma di una copia informatica dell’originale o, al limite, della copia informatica di un documento analogico privo della necessaria attestazione richiesta.
La ricezione del documento nella cassetta di posta elettronica certificata non garantisce l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario; viene garantita solo la disponibilità del documento nella cassetta elettronica, prescindendo anche da ogni possibile lettura del messaggio.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale stabilisce che le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico hanno l’efficacia probatoria dell’originale solo se la loro difformità non sia espressamente disconosciuta. Devono essere prodotte giudizio sia la ricevuta di accettazione sia di avvenuta consegna, idonea a certificare ora e data di avvenuto recapito, il tutto con valore legale garantito dalla firma digitale ex art. 24 D. Lgs. 82/2005.
Pertanto le stampe cartacee delle ricevute, qualora prive dell’attestazione di conformità apposta, da pubblico ufficiale, a ciò autorizzato , sono prive di valenza probatoria.
In ultimo, ma altrettanto importante, viene richiesta estensione del file non in “PDF” ma “P7M”, che sola garantisce l’integrità e la non modificabilità del documento e ne identifica l’autore.
La stessa Cassazione, sentenza n. 20672/2017, ha stabilito che le formalità previste dalle norme tecniche potrebbero porsi come indispensabili presupposti o elementi stessi dì esistenza di un atto riferibile a colui che figura esserne il suo autore.
In pratica l’assenza del requisito prescritto produce un “quid” completamente differente dal complesso atto processuale, nativo digitale e disciplinato dall’art.12 delle specifiche tecniche previste dall’art. 34 comma 1 del decreto Ministero della Giustizia n. 44/2011.
L’esistenza dell’atto in forma di documento informatico dipende dalla contemporanea presenza di tutti gli elementi che il testo di riferimento ritenga necessari.
Solo l’estensione “P7M” permette l’apposizione della firma digitale e la difformità dell’estensione non permette una sottoscrizione riconosciuta ex lege , non permette, cioè, che venga ad esistenza l’atto voluto e prescritto dal Legislatore.
Valutando, pertanto, quanto apportato si rileva non la nullità della notifica ma l’inesistenza giuridica, sin dalla sua nascita, dell’atto notificato dall’Agente della Riscossione.
Gli altri motivi addotti dal contribuente risultano in parte inconferenti e, in ogni caso, assorbiti completamente da quanto sopra deciso.
Per quanto riguarda, invece, le cartelle esattoriali notificate a terzi per via postale, determinata per i motivi sopra riportati l’inesistenza giuridica di quelle notificate via PEC, manca la prova che Equitalia abbia fatto pervenire al contribuente la raccomandata informativa, come nel caso del destinatario temporaneamente irreperibile, prevista dall’art. 60 D.P.R. 600/73 come modificato dal D.L. 223/2006 conv. con modificazioni dalla L. 248/2006, il che rende insanabilmente nulla la procedura seguita in violazione del dettato legislativo.
Esiste al riguardo anche una consistente corrente giurisprudenziale che, in casi simili, ha deciso per l’inesistenza della notificazione con la conseguenza che viene annullato, come mai esistito, tutto, il procedimento.
Si dichiara pertanto l’inesistenza giuridica dell’intimazione di pagamento e delle cartelle notificate via PEC e la nullità delle cartelle notificate via posta.
Relativamente alle spese del giudizio occorre ti levare che la Coste Costituzionale con sentenza 152/2016 ha stabilito che la compensazione delle stesse si pone come ipotesi eccezionale.
La nuova formulazione dell’art. 92 c.p.c, non pone più quale motivo basilare di compensazione la novità della materia trattata.
Dal giorno 01.0.2016, con il rafforzamento del principio di soccombenza, la compensazione delle spese è limitata a casi specifici.
Il legislatore con il D. Lgs. 156/2015 dal gennaio 2016 ha modificato l’art. 15 D. Lgs. 546/92 al comma 1, sopprimendo il secondo periodo cui si riportava all’art.92 comma 2 c.p.c. per la compensazione totale o parziale delle spese di lite che possono essere compensate soltanto esistendo gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivare. Tali motivi non possono più solo consistere nel caso della novità delle questioni.
Pertanto, pur tenendo presente la novità e la difficoltà della materia, la parte soccombente è condannata al pagamento delle spese del giudizio , come da dispositivo, relative al complesso dell’attività svolta dal contribuente.
La Commissione, in riforma della sentenza impugnata determina la giuridica inesistenza dell’intimazione di pagamento e dello cartelle esattoriali notificate via PEC e la nullità delle cartelle esattoriali sottese notificate via posta.
Condanna Equitalia Servizi di Riscossione spa al pagamento delle spese del giudizio in ? 3.000,00 , oltre iva e cpa se dovute.
Genova, 15.11.2017